giovedì 2 febbraio 2012

PDL. Cambiare l'art. 18? Massima disponibilità

I dati sull’aumento della disoccupazione in Italia, e in particolare quella giovanile, sono finiti, com’era prevedibile, sulle prime pagine dei giornali. L’Italia è quasi al 9% e un giovane su tre è senza lavoro. Ma la media europea è più alta, poiché supera il 10%. Ciò induce a qualche riflessione.
La prima è questa. Non c’è dubbio che in Italia il mercato del lavoro è spaccato in due: da una parte gli iperprotetti, dall’altra parte i precari. Non c’è dubbio che questo mercato debba essere riformato. Ma se l’Italia è così indietro, dal punto di vista normativo, rispetto ad altri paesi, come mai il suo tasso di disoccupazione, sicuramente elevato anche a causa della crisi internazionale che dura da quattro anni, è più basso della media europea? La risposta che viene data è che in Italia la forza-lavoro complessiva, uomini e donne, rappresenta una percentuale della popolazione totale più ristretta rispetto ad altri paesi, soprattutto a causa della minore presenza delle donne nel mondo del lavoro; ed è su questa forza-lavoro che si misura il tasso di disoccupazione. Inoltre non si considerano disoccupati coloro che sono in cassa integrazione.
La seconda riflessione è questa. Sarà sufficiente modificare l’art.18 per creare occupazione? Un’indagine condotta dall’associazione Manageritalia, che rappresenta oltre 35 mila direttori e capi d’impresa, di cui riferisce oggi La Stampa, rileva che la maggioranza degli intervistati (due su tre) afferma che non è l’art.18 a impedire alle imprese di assumere personale. Questo articolo produce invece un altro tipo di strozzatura: il limite di 15 dipendenti, al di sotto del quale l’art.18 non si applica, spinge a rinunciare ad assumere altro personale, a utilizzare il lavoro straordinario o esterno, e a creare aziende collaterali, con l’effetto di mantenere elevato il numero delle piccole aziende e impedire il passaggio alla dimensione media, più idonea a fare fronte alla concorrenza e ad accrescere la produttività.
Invece di fare dell’art.18 una specie di “quota 90”, come sembrano intenzionati i sindacati, individuare e favorire i settori che offrono maggiori possibilità di sviluppo e abbandonare quelli che non hanno futuro. Puntare, quindi, sulla “occupabilità”, che nasce dagli investimenti, attraverso un’azione concordata tra tutti i ministeri interessati. Perché è difficile che gli investimenti crescano se miliardi di euro fuggono all’estero: si dice che già oltre dieci siano riparati oltre frontiera.

Nessun commento:

Posta un commento